Sandra
Lo vidi inaspettatamente giovedì, mentre stavo andando al mio incontro con Julián. Quella volta non dovetti dare molte spiegazioni perché era appena arrivato Martín con qualcosa da raccontare a Fred e Karin nello studio-biblioteca, cose private, noiosissime, che riguardavano la Confraternita. Erano le tre e mezzo, per una volta sarei arrivata puntuale al Faro. Uscii con la sensazione che quella storia non sarebbe potuta durare ancora molto. Julián stava finendo i soldi. Anche se non voleva lamentarsi, a volte gli scappava detto che ormai non poteva permettersi il conto dell’albergo e che doveva fare benzina con il contagocce. E poi un uomo della sua età non poteva sopportare a lungo una baraonda del genere e io non potevo continuare a circondarmi di quella gente e a compromettermi con il loro mondo. La situazione si sarebbe dovuta sbloccare in qualche modo, o comunque prima o poi saremmo dovuti tornare a casa. Non bisognava decidere niente, lo avrebbe deciso il momento.
Uscii da Villa Sol e per strada sentii come una frustata negli occhi, nel cervello.
Quella macchina!
Dentro c’era Alberto che faceva un cruciverba appoggiato al volante. Rimasi paralizzata sul motorino.
Alberto!
Lo chiamai senza muovere le labbra e lui sentì senza sentire. Girò la testa verso di me.
Continuava a essere lui. Gli stessi occhi, la stessa bocca. Scese dalla macchina indossando jeans blu scuro, una camicia a quadri e un maglione sulle spalle. Mi fece piacere vedere che non si era messo la giacca che gli aveva regalato Frida. Si fermò davanti a me, mentre io restavo seduta sul motorino.
Capelli castano chiaro spettinati, fronte e naso arrossati dal vento e dal sole. Non era affatto bello. Il portafogli gli spuntava da una delle tasche posteriori e aveva una scarpa slacciata.
«Hai una scarpa slacciata.»
La guardò distrattamente, senza provare a chinarsi per allacciarla.
«Dove vai?» mi chiese come se ci fossimo visti cinque minuti prima.
«Che te ne importa?»
«Se te lo chiedo è perché mi importa.»
Era a pochi metri da casa e non si era scomodato a entrare per salutarmi. Mi faceva tanto male che ormai non lo amavo più.
«Non ti credo», dissi. «Farò finta di non averti visto.»
Quel poco di orgoglio che mi restava mi impedì di chiamarlo porco.
«E io farò finta di non essere sceso dalla macchina, va bene? »
«Vedi tu. Mi sembra che tu abbia molto chiaro quello che devi e non devi fare.»
«Sì, ce l’ho chiaro e anche tu dovresti, ma preferisci comportarti da incosciente, senza pensare alle conseguenze.»
«Mi minacci sempre.»
«Sei circondata da minacce, ma non sono io quello che ti minaccia. Ti ho detto tempo fa di andartene, di lasciar perdere tutto questo.»
Mi piaceva tanto, volevo che fosse il padre di mio figlio, ma sapevo anche che il giorno che avesse smesso di piacermi lo avrei odiato.
«Mi dite tutti di andarmene, ma dove?»
«Tutti? Chi altro ti dice di andartene?»
«L’ho detto così per dire. Non posso andarmene. Ci sono cose che mi legano a questo posto più che a qualunque altro.»
«Su, facciamo un giro in motorino», mi disse sedendosi dietro di me.
«Dove vuoi andare?»
«Andiamo al Faro, c’è una vista bellissima.»
Fu allora che mi ricordai di Julián, che in quel momento mi stava aspettando al Faro.
«Al Faro? Sei sicuro? Non preferisci andare in spiaggia o al porto?»
«Il Faro è più tranquillo. E poi c’è uno strapiombo da cui ti posso buttare. Nessuno ti troverà: è una bugia che il mare restituisca tutto quello che si prende.»
Avevo già messo in moto. A mano a mano che prendevamo velocità il vento diventava più forte. Mi diressi al Faro: non potevo fingere di non conoscere la strada, avrei potuto farla quasi a occhi chiusi. Eppure andavo più piano che potevo, mi piaceva sentire Alberto dietro di me. Mi riparava dal vento, mi proteggeva, era impossibile che gli passasse per la testa di farmi qualcosa di male. Mi sembrava che tutto il tempo che non ero stata con lui fosse stato tempo perso, perso ad aspettare.
Quando arrivammo allo spiazzo dove non si poteva fare altro che parcheggiare, vidi la macchina di Julián. Doveva essere in gelateria, forse mi aveva visto arrivare dalla vetrina. Avrei potuto dire ad Alberto che dovevo andare in bagno, chiedergli di aspettarmi un attimo e approfittarne per fare un cenno a Julián, ma non volevo perdere neppure un istante con lui, perciò lasciai che Julián aspettasse. Che si stancasse e se ne andasse, che facesse come voleva. Non mi passava neppure per la mente di rovinare quel momento che mi era capitato tra le mani quando meno me lo aspettavo.
Camminammo tra le palme selvagge, pestando sassi e piccole rocce, fin quasi allo strapiombo. Da lì il mare si stagliava immenso, una distesa azzurra con qualche chiazza verde e, in fondo, il cielo. C’eravamo solo noi.
«Non sembra vero», disse riferendosi allo spettacolo che avevamo davanti, o forse a noi due o alla vita in generale.
«Non sembra vero» furono tre parole meravigliose. Mi prese per le spalle e poi mi baciò. Fu un bacio conosciuto, un bacio aspettato. Mi piacque più della prima volta perché non c’era la sorpresa, solo il piacere della sua dolcezza, del suo calore. Sentii il suo sesso contro di me e poi si allontanò.
«Adesso no», disse.
Io gli presi una mano tra le mie. Era quasi quadrata e le dita erano forti: qualcosa di insignificante, in quella grandiosa bellezza del mare e del cielo, ma era l’unica cosa realmente importante e capace di dare un senso alla vita.
«Che ne è stato di tuo marito?»
«Non sono sposata.»
«E va bene, il padre di tuo figlio», replicò facendo scivolare la mano tra le mie e infilandola in tasca per tirare fuori un pacchetto di sigarette. Se ne accese una.
«Non abbiamo rapporti. Non ero sicura di amarlo.»
«E lui ti amava?»
«Credo di sì. Mi dispiace per lui.»
All’improvviso si girò dando le spalle al mare.
«Devo andare. Questo sarà il nostro posto.»
Non volli chiedergli della ragazza con cui si era visto in spiaggia. Non volli chiedergli neppure di Frida. L’altra sarebbe stata la ragazza della spiaggia e io la ragazza del Faro. Non volevo rovinare il mio momento, la mia opportunità, il mio attimo di felicità.
Nello spiazzo la macchina di Julián non c’era più. Mi chiedevo se ci avesse visto. Ne sarei stata felice, perché poi ne avrei potuto parlare con lui e allungare in qualche modo quelle sensazioni. Magari mi aveva lasciato un messaggio sotto la pietra C, ma in quel momento non potevo verificarlo.
Guidò Alberto, io mi sedetti dietro e lo abbracciai.